L’abominevole favola del progresso. I mostri di Juan Rodolfo Wilcock, tra comicità e orrore
Abstract
Il presente contributo intende esplorare le strategie di demistificazione grottesca impiegate da Juan Rodolfo Wilcock per ritrarre l’impasse culturale della società italiana degli anni Sessanta, catapultata nella vacua frenesia di un improvviso benessere. Attraverso il suo «ridente sguardo cadaverico», come lo definisce Pasolini, la seduzione effimera del miracolo economico e, soprattutto, le sue disfunzioni, assumono le sembianze di una funerea profezia sociale, alimentata dal potere corrosivo e destabilizzante della satira. In particolare, sarà indagata la categoria dei mostri, cui l’autore italo-argentino fa sistematicamente ricorso allestendo, sia nei racconti che a teatro, una galleria di tipi umani e sub-umani esilarante e, al contempo, tragica. In questo sottobosco urbano, popolato da strambi personaggi e creature zoomorfe, i clamori luccicanti e le malie del progresso si degradano in formule stereotipe e oscene fiabe, trasmesse dagli schermi televisivi ad una massa senza miti, certificando la diagnosi lancinante di un disagio profondo.
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