Daniela Brogi, Giovani. Vita e scrittura tra fascismo e dopoguerra
Abstract
Il recente libro di Daniela Brogi, Giovani. Vita e scrittura tra fascismo e dopoguerra è costituito da quattro capitoli, su opere e autori distinti e ben inseriti nella maglia che tiene l’insieme (una maglia che, va da sé, si srotola sotto i nostri occhi fin dal titolo contenutistico). Il primo capitolo è su Romano Bilenchi e si interroga sul significato che ha avuto per lo scrittore toscano e per la sua generazione l’adesione al fascismo («il tema di queste pagine è anche uno dei più scabrosi», scrive Brogi nell’Introduzione). La parola-chiave che torna con insistenza in queste pagine è l’aggettivo «indivisibile». Bilenchi, prima fascista, poi gappista e militante del Pci clandestino, teorizza e pratica l’«etica della vita indivisibile», di un’esperienza da guardare interamente senza celare il male o le cadute. Ed è una prospettiva che, senz’altro, colpisce chi come noi abita un’epoca - ci spiegano gli psicanalisti - che scorda i fallimenti e vive del culto della prestazione. Giovani, così, considera la parabola della vita di Bilenchi con il nodo del distacco dal fascismo, indagando contemporaneamente l’altra parabola, quella tratteggiata dai testi letterari dello scrittore toscano e soprattutto dai suoi personaggi, Pisto, Dino, Aldo, Marco e poi gli adolescenti di Conservatorio di Santa Teresa.
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