Le fonti di luce nelle chiese veronesi (secoli XI e XII). Disposizione e conformazione
Abstract
Fra i secoli XI e XII la città di Verona visse un’intensa stagione costruttiva. La storiografia, pur avendo riservato importanti ricerche alla cultura architettonica cittadina, non ha ancora dedicato uno studio catalografico alla disposizione e alla conformazione delle fonti di luce: l’articolo, pertanto, affronta questa importante tematica prendendo in considerazione 37 edifici sparsi fra la città e la provincia. Le maestranze veronesi furono assai attente agli effetti cromatici derivati dal sapiente accostamento di differenti materiali costruttivi (pietra, mattoni e ciottoli di fiume) che, esaltati dalla luce, tendevano al conseguimento di precisi fini estetici e all’immediata distinzione di settori e volumi architettonici attraverso la posa di diversi tipi di murature. Un caso esemplare, oltre a San Fermo (1065), è la chiesa San Lorenzo (fine XI-inizio XII secolo), dove la luce giocò un ruolo predominante per la creazione della chiesa. Le strutture successive (San Zeno, San Giovanni in Valle, ma anche San Salvaro a San Pietro di Legnagno o l’abbazia di Villanova presso San Bonifacio) abbandonarono l’assetto a sala e furono provviste del cleristorio. La soluzione del tiburio quadrangolare che rischiarava il coro, invece, fu replicata nel secondo quarto del XII secolo nel duomo di Santa Maria Matricolare (1139). Proprio dal tiburio della cattedrale proviene il celeberrimo arco di monofora (oggi conservato nel Museo di Castelvecchio) firmato dallo scultore Pelegrinus, che dimostrò un’indubbia consapevolezza del proprio valore. In questa fase topica del Romanico veronese, perciò, le fonti di luce assunsero anche un preciso valore rappresentativo.Downloads
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