Il valore finzionale della memoria
Abstract
La memoria è comunemente intesa come la funzione psichica che riproduce nella mente l’esperienza passata, come una semplice rievocazione statica. La memoria, invece, implica una sfera semantica più ampia, investe una zona di significati non riducibili a un’unica determinazione, e corrisponde a un movimento che produce effetti complessi. Ecco perché, nel tempo e nello spazio dei mondi possibili, la memoria è innanzitutto un luogo di ibridazione, depositaria di falsità, per sua natura, e veicolo di una verità che dà forma e consistenza all’esperienza. E se il confine tra la menzogna della memoria e i processi dell’immaginazione è labile, la distanza incolmabile che la scena memorativa stabilisce con una presunta realtà oggettiva costituisce la modalità conoscitiva privilegiata dell’universo di finzione. Dal Funes di Borges (in Finzioni) alle Città invisibili di Calvino, dalle narrazioni di Alice Munro (Nemico, amico amante…) alla scrittura narrativa di Annie Ernaux (Gli anni), la memoria è il principio e l’origine dell’identità personale, inevitabilmente compromessa con la contraffazione, con la rielaborazione, con la falsità dell’atto di parola, nel dominio del verosimile. In questo senso la narrazione della memoria assume un significato sia soggettivo che oggettivo: perché il racconto è veicolato dal ricordo, e perché il ricordo è tematizzato dal racconto stesso. L’immagine, vera o finta, vera e finta, riflette la qualità bifronte che la memoria è in grado di trasferire sugli oggetti. Rivisitata sotto questa luce, e assunta come chiave interpretativa, la memoria interagisce in maniera assolutamente particolare con la narrazione, e negli esempi citati la dicotomia verità/menzogna è continuamente rimessa in gioco.
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