La stella Černobyl’. Narrare la catastrofe nucleare
Abstract
Nell’Apocalissi leggiamo: «E dal cielo cadde una grande stella, ardente come una torcia; e cadde sopra la terza parte de’ fiumi, e sopra le fonti delle acque. E il nome della stella è ‘Assenzio’».
Un altro nome russo dell’Assenzio è “Černobyl’”. A suo tempo gli scienziati sovietici affermavano che le centrali nucleari erano «astri del firmamento del progresso» che il governo avrebbe disseminato su tutto il territorio dell’URSS. Dietro a questo gioco di parole si cela la tragedia della centrale termonucleare che esplose il 26 aprile 1986 seminando morte e distruzione e una scia di malattie che perdura ancora. Una nefasta premonizione del crollo dell’Impero sovietico? Oppure, al di là della contingenza più immediata, un monito sulla catastrofe che attende tutto il Pianeta se si perdura nel dissennato sfruttamento delle sue risorse? Spontaneo il confronto con il romanzo di Christa Wolf L’incidente (1987) o con il dramma Il Sarcofago: una tragedia (1986) di Vladimir Gubarëv. La catastrofe nucleare è stata narrata da diverse prospettive negli oltre trent’anni che sono trascorsi, non ultima Preghiera per Černobyl’ del premio Nobel Svetlana Alexievič. Ci si sofferma in particolare su La stella Černobyl’ (1987) della dissidente russa Julija Voznesenskaja. Molti sono i possibili approcci al romanzo, non ultimo quello da una prospettiva femminista: non a caso protagoniste sono tre sorelle che attraverso la loro testimonianza, e sacrificio, contribuiscono a mantenere viva la memoria della tragedia.
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