Emilio Betti e la funzione sociale del giurista
Abstract
L’articolo studia la costruzione concettuale del giurista in Emilio Betti come un rappresentante organico della società. Non è un rappresentante politico, con o senza vincolo di mandato, né un rappresentante legale, che trasferisce interessi e li relaziona. Il rappresentante organico è una longa manus, un’estensione autorevole del meglio della società. La sua autorevolezza, disinteressandosi del potere politico, può contemperare gli interessi in gioco, dire il diritto con la sentenza, riequilibrando gli squilibri sociali, provocati anche dalle stesse leggi. La funzione di riequilibrio sociale, capace di coniugarsi con l’equità, nella potenzialità di quest’ultima di porsi non solo come giustizia formale, ma sostanziale, è ciò che rende capace la tensione teoretica bettiana di divenire strumento metodologico possibile per tutte le scienze del sapere, ma anche per la vita associata, sulle orme dell’Etica nicomachea, della Politica e della Retorica di Aristotele. La scelta decisionale del giurista emerge come una delle più rilevanti questioni giuridiche del nostro tempo, quella del giusto processo. La sua soluzione necessaria, sia sul piano della legislazione di ciascuno stato, sia sul piano di tutte le singole narrazioni di ciascuna vicenda processuale, può trovare riferimenti solidi negli studi romanistici di Betti, a partire da quelli sui Sette Re di Roma, fino a giungere a quelli sul Pretore romano. Permette di distinguere il decisionismo gnoseologico e ponderato del giurista da quello che mette fine allo stato d’eccezione del politico, teorizzato da Carl Schmitt. E permette anche di distinguere una logica fondata su una visione etica e culturale ampia della società, da una logica svuotata di deontologia e fondata soltanto sull’argomentazione sillogistica, nella quale il mezzo può sostituire il fine.
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