Editoriale
Abstract
Non vi è dubbio che, nel bene come nel male, la mobilitazione popolare riveli sempre un potenziale trasformativo notevole, se non notevolissimo. Può esprimersi come potenza sublime e magmatica che – historia docet – non necessariamente porta caos e distruzione, neppure quando scuote le istituzioni alle fondamenta. Genera e nutre crisi; e «la crise de la démocratie – come rimarca il filosofo francese Paul Ricœur – est une crise double où se conjuguent un mouvement ascendant et un mouvement descendant, des menaces fécondes et des menaces ruineuses». Insomma, la crisi genera e nutre nuove energie e idee, fusione di orizzonti, rifondazione, nuovi slanci. In fin dei conti, la mobilitazione popolare è, già in quanto possibilità, un caposaldo della vita democratica. Ancora Ricœur evidenzia che «La démocratie est une idée en devenir et en combat. C’est une histoire commencée que nous avons la tâche de continuer. La crise (...) est un moment dans une histoire dont il faut retrouver l’élan». Di quel che accade in uno stato democratico, primo responsabile è il Popolo. E quando la politica si corrompe o è dirottata verso forme autoritarie, il potere a fortiori deve ritornare al Popolo.
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